RIVISTA DI STUDI ITALIANI | |
Anno XVI , n° 2, Dicembre 1998 ( Contributi ) | pag. 82-98 |
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LA GINESTRA, IL MALE, IL PIACERE E LA VITALITÀ | |
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ALFREDO BONADEO | |
University of California at Santa Barbara, Santa Barbara, California |
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A molti lettori di Leopardi riesce arduo sottrarsi all'impressione che il male e l'infelicità sono invincibili, che l'umanità è condannata a subirli, a soffrirne le conseguenze, e che la visione leopardiana dell'esistenza è pessimista. Per Leopardi, uomo e poeta, uno studio critico ha concluso, "la vita è carcere," ed egli è legato "alla sua filosofia pessimistica" che preclude l'uscita dalla prigione, anzi alimenta la sua sete di stasi e d'imprigionamento1. Il discorso del poeta nei Canti, una recente interpretazione precisa ancor più pessimisticamente, "tende a sostenere la nullità e l'infelicità del genere umano", mostrando la malignità, l'indifferenza e la crudeltà della natura e del destino; per metterle in maggior evidenza il poeta adotta una "strategia straziante", che è "l'esagerazione dell'infelicità e della nullità"2. La verità è che il poeta riconosce il male e la nullità nella loro multiforme esistenza e ne individua le strutture, ma non concede niente alla loro forza. Se è vero che, come nota il filosofo Alberto Caracciolo, il centro del pensiero leopardiano sta "nell'idea del nulla - nell'idea della strutturalità del male"3, non significa però che Leopardi riconosca il male e l'infelicità come signori dell'umanità e che il suo pensiero e la sua poetica si pieghino davanti al loro potere. Al contrario, sulla strutturalità del male il poeta crea una "prospettiva liberatrice e rivelatrice"4 e impegna una lotta serrata con le forze che avversano la felicità e vitalità per giungere allo scontro decisivo nell'ultimo dei Canti. La ginestra canta la libertà dall'infelicità e dal male. [...] |
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