RIVISTA DI STUDI ITALIANI | |
Anno XVI , n° 2, Dicembre 1998 ( Contributi ) | pag. 201-233 |
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IL RISORGIMENTO | |
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FERNANDO DI MIERI | |
Istituto Filosofico "San Tommaso d'Aquino," Napoli |
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Come in un vortice si rincorrono, a legger Leopardi, speranza, noia, desiderio, immaginazione, infinito, piacere, morte, infelicità, natura, fantasia, nulla...Ogni nozione richiama insistentemente altre e queste ancora altre, in un continuo movimento, che rinvia alla scaturigine vertiginosa di un pensiero, la cui lettura si presenta irta di difficoltà. Difficoltà che aumentano per la presenza di forme espressive, non sempre filosoficamente organiche1, una visibile evoluzione di posizione, la pluralità di significato, spinta talora almeno fino all'ambiguità (se non all'incoerenza), di parole chiave2. Dispostissimo alla filosofia e sommo poeta fu il Leopardi, incarnando in se stesso quanto aveva sostenuto in tesi in un passo del suo Zibaldone, scrivendo che poesia e filosofia, al di là di certi caratteri discordanti, si richiamano reciprocamente e condividono un medesimo destino, anche nella considerazione pubblica e nel successo economico: "È tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quale cerca per sua natura e proprietà il bello, e la filosofia ch'essenzialmente ricerca il vero, cioè la cosa più contraria al bello; sieno le facoltà le più affini tra loro, tanto che il vero poeta è sommamente disposto ad esser gran filosofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta, anzi né l'uno né l'altro non può esser nel gener suo né perfetto né grande, s'ei non partecipa più che mediocremente dell'altro genere, quanto all'indole primitiva dell'ingegno, alla disposizione naturale, alla forza dell'immaginazione [...]". [...] |
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