RIVISTA DI STUDI ITALIANI | |
Anno XVI , n° 2, Dicembre 1998 ( Contributi ) | pag. 497-509 |
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"NON È UN'IMITAZIONE DI PINDARO". ALCUNE OSSERVAZIONI SULL'ODE A UN VINCITORE NEL PALLONE |
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ANTONIO ROSSINI | |
University of Toronto, Toronto, Ontario |
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Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe che la madre mi diè, l'opere mie non furon leonine, ma di volpe. (Dante, Inf. 27. 73-75) L'ode A un vincitore nel pallone è forse nell'insieme dei Canti leopardiani quello che il lettore sente più eccentrico rispetto allo spessore lirico dei componimenti più famosi. È un tentativo di poesia civile "alta" che derivi ispirazione da un fatto di cronaca. Nel suo lungo articolo "Leopardi fra Virgilio e Orazio", pubblicato negli Atti del quinto convegno internazionale di studi leopardiani dedicato al rapporto di Leopardi coi classici, Antonio La Penna tratteggia nitidamente i quattro filoni in cui si può articolare l'attività del poeta negli anni che vanno d al 1813 al 1818 e sostiene anche la tesi che essi restino "prima delle canzoni civili del 1818, sostanzialmente separati" (p. 162). Si tratta della ricerca filologica, delle traduzioni dai classici, della lirica a carattere personale e di un filone di eloquenza civile. A proposito di quest'ultimo non sarà inutile ricordare, sulle orme del Fubini (p. 77)1, la lettera a Pietro Giordani del 19 febbraio 1819 in cui il Leopardi lamenta la mancanza di un genere di lirica eloquente e nota come "convenga crearlo". La costruzione dello sferisterio di Macerata, il fatto che Carlo Didimi di Treia, nato il 1798, fosse suo coetaneo e godesse, per i suoi successi sportivi, di enorme popolarità - nonché di quella salute e vigoria fisica che la sorte aveva invece a lui precluso - avrebbero quindi spinto il Leopardi alla composizione di quest'ode. [...] |
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