RIVISTA DI STUDI ITALIANI | |
Anno XX , n° 1, Giugno 2002 ( Contributi ) | pag. 306-322 |
LA DIMORA DEL MITO. SULLA POESIA DI STEFANO D'ARRIGO |
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EMILIO GIORDANO | |
Università degli Studi di Salerno | |
Una nostalgia senza nome piangeva senza suono nella mia anima, nostalgia di vita piangeva, come uno piange quando su grande nave con gigantesche vele gialle verso sera su acque blu cupo lungo la città patria, costeggiando passa. E ne vede le vie, ne sente gorgogliare le fontane, odora il profumo dei glicini, se stesso vede bambino, stare presso la riva, con occhi di fanciullo, che sono angosciati e vogliono piangere, vede per la finestra aperta luce nella sua camera -- ma la grande nave lo porta oltre, scivolando senza suono sull'acqua blu cupo con gialle gigantesche vele di foggia straniera... H. Von Hofmannsthal, Erlebnis (1911) Nel 1958, un lettore appassionato come Giacomo Debenedetti poteva ancora muoversi fra le immagini liriche di Codice siciliano di D'Arrigo (la prima e unica raccolta di versi, cioè, pubblicata l'anno precedente dall'editore Scheiwiller nella nota collana "All'insegna del pesce d'oro") come in un singolare e autonomo territorio letterario dove una inedita voce -- nel suo improvviso proporsi sull'ideale palcoscenico fatto di carta e che ospita ogni esordiente -- appariva, in prospettiva, già quella di un sicuro protagonista della poesia italiana dei decenni a venire. Poteva guidare i lavori di una giuria (fra i membri, anche Gadda e Ungaretti) che decideva di premiare comunque il poeta, modificando -- nell'occasione -- la struttura stessa del premio "Crotone": "Hanno rinunciato ai loro emolumenti personali (quali commissari) per costituire il premio per me in quanto il "Crotone" originariamente è destinato a opere di saggisti e meridionalisti", scriveva infatti D'Arrigo in una lettera (4 luglio 1958) indirizzata all'amico di una vita, il siciliano Cesare Zipelli1. |
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